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Informazioni sui prodotti online, come darle corrette?

Dare informazioni e dati corretti, aggiornati e verificati sui prodotti che si vendono online è fondamentale. Scopri i suggerimenti di Google.

La chiarezza nell’organizzazione delle informazioni sui prodotti venduti online è una prerogativa di un potente motore di ricerca quale è Google. Per mostrare i prodotti fra i risultati di ricerca Google si basa su dati sicuri e affidabili relativi a queste merci.

Ma non solo: per aiutare produttori, rivenditori ed editori a fornire al motore di ricerca questo tipo di informazioni, Google mette anche a disposizione una serie di linee guida ad hoc.

Prodotti online, le best practice

Il primo suggerimento che Google dà ai venditori online è quello di fornire un’identificazione chiara del prodotto: in questo modo il motore di ricerca è in favorito nell’abbinare le offerte ai prodotti e i prodotti alle query di ricerca pertinenti. Per fare ciò puoi utilizzare degli identificatori di prodotto univoci come il codice GTIN™ (o Global Trade Item Number, adottato come standard da Google nel 2015), il codice MPN e i nomi dei marchi.

Tali identificatori dovrebbero seguire queste best practice:

  • Unicità, a ogni prodotto dovrebbe essere associato un identificatore univoco.
  • Verificabilità, per cui l’identità del prodotto e altri dati devono poter essere verificabili tramite una fonte attendibile.
  • Copertura globale, prediligendo un sistema di identificazione usato a livello globale.

Vendere prodotti online, i consigli per marchi e produttori

I marchi e i produttori hanno la possibilità di inviare gratuitamente i dati dei propri prodotti attraverso Google Manufacturer Center, così da identificare in modo univoco agli occhi di Google i prodotti.

Per far sì che il motore di ricerca comprenda i dati che marchi e produttori forniscono bisognerebbe:

  • Assicurarsi che i prodotti abbiano il codice GTIN univoco.
  • Non vengano riutilizzati gli identificatori di prodotto, i GTIN non devono mai essere condivisi fra più prodotti perché se così fosse i dati del catalogo diventerebbero obsoleti e incoerenti, creando confusione.
  • Per i prodotti personalizzati (come quelli artigianali o i prodotti personalizzabili) i produttori dovrebbero incorporare i principi di unicità, verificabilità e portata globale per far sì che si abbiano tutti i vantaggi di avere degli identificatori di prodotto.

Vendere prodotti online, i consigli per rivenditori e terze parti

Così come i marchi e i produttori dovrebbero dare informazioni precise e puntuali sui loro prodotti, lo stesso discorso vale anche per i rivenditori e le terze parti.

Oltre alle linee guida generali per i codici identificativi, Google suggerisce anche le seguenti attività a tali soggetti:

  • Inviare dati sul prodotto di alta qualità, come i dati strutturati o implementare direttamente il markup dei dati strutturati sul sito web.
  • Fornire un GTIN se i prodotti che vengono venduti hanno un GTIN. Se il prodotto non dovesse averlo, i rivenditori e le terze parti devono fare affidamento ai numeri di parte del marchio e del produttore per identificare il prodotto.
  • Utilizzare GTIN validi e univoci, senza riutilizzare un codice identificativo esistente per un nuovo prodotto.

Vendere prodotti online, suggerimenti per gli editori

Anche per gli editori Google ha identificato dei consigli che riguardano la produzione di contenuti sui prodotti. Quando si creano delle recensioni o si condividono le ultime offerte di un prodotto, queste merci devono essere accuratamente identificati. Per fare ciò, il motore di ricerca suggerisce di:

  • Utilizzare nomi di prodotti esatti.
  • Utilizzare dati strutturati.
  • Utilizzare GTIN validi e univoci.

Nel mondo del commercio, e in particolare di quello online, l’identità di un prodotto è essenziale in quanto permette sia alle aziende che ai consumatori di conoscere accuratamente l’origine e l’identificazione univoca di un prodotto.

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Dati strutturati per i siti delle PMI, perché implementarli?

Cosa si intende quando si parla di dati strutturati? E perché è fondamentale implementarli su un sito di una PMI?

Negli ultimi cinque anni molte delle nuove funzionalità della SERP di Google sono state guidate dall’uso dei dati strutturati provenienti da tutto il Web: da Google for Jobs a Google Shopping, passando per le schede di ricette e i rich snippet, queste funzioni includono tutte contenuti di siti che hanno implementato dati strutturati.

Questo la dice lunga su quale sia l’importanza di considerare l’implementazione dei dati strutturati per il sito web della propria PMI. Ma cosa sono i dati strutturati? E perché è necessario dare priorità alla loro implementazione?

Cosa sono i dati strutturati?

Quando si parla di dati strutturati inerenti un sito web si intende quel mezzo che permette di definire il contenuto con un insieme uniforme di nomi e valori, così che bot e macchine possano leggere, indicizzare, comprendere e presentare al meglio tale contenuto.

Gli structured data rappresentano quindi delle meta-informazioni che vengono inserite manualmente nel codice HTML di una pagina web, di modo da fornire dati aggiuntivi sui siti e sulle pagine e permettere ai motori di ricerca di indicizzare e classificare meglio il loro contenuto.

Per comprendere ancora meglio cosa si intende con il termine dati strutturati considerali come delle informazioni (dati) che sono organizzate (strutturati) e che diventano comprensibili agli occhi dei motori di ricerca. Grazie a tali dati Google e gli altri search engine riescono a navigare meglio un sito, comprendendo le relazioni delle pagine e valutandolo meglio, attraverso l’abilitazione della visualizzazione come risultato multimediale nei risultati di ricerca.

Nel 2011 Google, Microsoft, Yahoo e Yandex hanno pensato di creare un gigantesco vocabolario dal nome schema.org. In questo sito si trovano tutti gli schemas, ovvero i tipi di dato, che sono riconosciuti dai motori di ricerca. In schema.org sono indicate anche le forme con cui il messaggio può essere scritto, ovvero micro data, RDFa e JSON-LD, quest’ultima forma è consigliata da Google.

Google ha inoltre messo a disposizione un utilissimo tool, il Test dei risultati multimediali, che testa la tua pagina accessibile pubblicamente per vedere quali risultati multimediali possono essere generati dai dati strutturati della pagina stessa.

Perché le PMI devono implementare i dati strutturati sui siti?

I dati strutturati non sono un fattore di rank diretto. Tuttavia utilizzare e implementare i dati strutturati sul sito web della tua PMI è importante per due ordini di motivi:

  • Per avere la certezza che il messaggio arrivi in modo corretto al destinatario, ovvero ai motori di ricerca.
  • Per accedere agli Rich Snippet, ovvero degli snippet che hanno degli elementi visivi in più, come ad esempio le ricette, il prodotto o la review.

Per le PMI, l’utilizzo e l’implementazione dei dati strutturati può sicuramente rappresentare un vantaggio in termini di visibilità in SERP. Ma non solo:

  • Potresti superare i tuoi concorrenti locali, perché molti devono ancora incorporare i dati strutturati nei loro siti.
  • Lo schema dei dati strutturati è scalabile, quindi ogni volta che creerai una nuova pagina di elenco prodotti, ad esempio, avrà già incorporata l’ottimizzazione.

Adottare un approccio strategico, che abbia come obiettivo quello di implementare i dati strutturati per il sito della tua PMI, ti permette di rimanere competitivo sui motori di ricerca e di incrementare di conseguenza conversioni e vendite.

Scopri ora come creare la giusta strategia per il sito web della tua PMI!

 

Email marketing, quali sono i KPI da monitorare?

Quali KPI dell’email marketing bisogna monitorare e perché? Quali sono i metodi per misurarli e quali le azioni correttive per migliorarne l’efficacia?

Adottare un approccio strategico orientato al dato e alla sua misurabilità è ormai diventata una prerogativa imprescindibile nel mondo del marketing online. Questo vale anche e soprattutto per l’ambito dell’email marketing, dove stabilire KPI, ovvero Key Performance Indicators, misurabili e chiari è essenziale per comprendere le performance di una campagna ed eventuali aree di miglioramento.

 

Scopriamo insieme quali sono i principali KPI dell’email marketing da tenere sotto controllo, come si calcolano, come migliorarli e quali sono i benchmark medi per capire se la tua campagna sta funzionando o meno.

KPI dell’email marketing: il tasso di apertura

Il tasso di apertura, conosciuto anche come Open Rate (OR), rappresenta il numero di email che sono state aperte in confronto al totale di email recapitate.

L’Open Rate viene in particolare influenzato dai primi due elementi che vengono visualizzati da chi riceve l’email e che lo invogliano ad aprirla, ovvero l’oggetto e il preheader.

Il calcolo del tasso di apertura si basa sulla seguente formula:

(Numero di aperture / Email recapitate) * 100

Il benchmark medio per il tasso di apertura dell’email è del 18%. Per arrivare in linea con questo valore o rendere più performante la tua campagna di email marketing potrai:

  • Ottimizzare l’oggetto dell’email, scegliendo parole forti ed efficaci, che smuovano curiosità e interesse nel destinatario.
  • Personalizzare la subject line rendendola chiara e specifica.
  • Lavorare sul preheader di modo che vada a completare l’oggetto, includendo anche una CTA.

KPI dell’email marketing: il tasso di clic

Conosciuto anche come Click-Through Rate (CTR), il tasso di clic è un indicatore fondamentale dell’email marketing. Rappresenta infatti il numero di clic sui link che sono presenti nel corpo del messaggio, diviso per il numero di email che vengono recapitate.

Quali fattori influenzano il CTR?

  • Le immagini.
  • I video.
  • I copy.
  • Le call to action.

La formula per calcolare il tasso di clic è semplicissima: (Numero di clic / Email recapitate) * 100. Per capire se la tua campagna di email marketing stia effettivamente funzionando considera che il tasso di clic medio è del 2.6%.

Il tuo CTR è al di sotto di tale valore? Non preoccuparti, come azioni migliorative potrai mettere in campo la realizzazione di A/B test ripetuto su copy, CTA, disposizione dei contenuti e layout usato.

KPI dell’email marketing: il tasso di clic su aperture

Il CTOR, ovvero Click-to-open-rate, corrisponde al tasso di clic su aperture: tale KPI indica il numero di clic unici in confronto al numero di aperture uniche delle email.

Ma cosa sono le aperture e i clic unici? I clic e le aperture totali tengono conto anche di più occorrenze da parte di uno stesso utente, mentre le aperture e i clic unici conteggiano solo gli utenti che hanno aperto l’email o cliccato almeno una volta. In questo senso il CTOR è il parametro migliore e più accurato per misurare il livello di interazione delle email: serve infatti per dirti quanti sono gli utenti che interagiscono con i tuoi messaggi e atterrano poi sul sito. Proprio per questo motivo il tasso di clic su aperture medio è anche conosciuto come tasso di reattività.

Per calcolarlo ti basterà fare:

(Clic unici / Aperture uniche) * 100

Per valutare l’efficacia della tua campagna di email marketing considera che il CTOR medio è del 14.1%. Per migliorare il CTOR potrai:

  • Implementare un bottone per la CTA delle tue email.
  • Ottimizzare la struttura dei messaggi in base agli obiettivi.
  • Usare un design modulare per migliorare la fruizione dei contenuti e la lettura degli stessi.

KPI dell’email marketing: tasso di disiscrizione

L’Unsuscribe Rate è un altro KPI fondamentale che ti consente di sapere qual è il numero di disiscritti alle tue email. Perché è un dato da tenere in considerazione? Perché potrai capire se il tuo database è sano o meno: il tasso di disiscrizione dovrebbe sempre essere inferiore al 2% (la media è dello 0.1%) e comunque più basso rispetto al numero di iscritti.

Ma come fare per calcolarlo?

(Numero di utenti disiscritti / Email inviate) * 100

E per migliorarlo invece che azioni puoi mettere in campo? Semplice, dato che questo parametro è particolarmente variabile, cerca di rivalutare la frequenza con cui effettui gli invii o il contenuto dei messaggi, facendo test su test per individuare la causa del malcontento dei tuoi iscritti.

KPI dell’email marketing: l’Engagement Rate

Con l’engagement puoi misurare il coinvolgimento e le interazioni degli utenti con le email che ricevono.

L’engagement dell’email marketing può essere misurato in base a due diversi livelli:

  • La singola campagna, considerando metriche come gli invii, i recapiti, le aperture, i clic, le disiscrizioni e le segnalazioni di spam.
  • La strategia, andando invece ad analizzare le statistiche delle campagne e l’interesse dei destinatari in un arco di tempo definito, con lo scopo di capire lo stato di salute del database.

Se dall’analisi dell’engagement dovesse emergere un numero significativo di contatti inattivi, per migliorare questo valore dovresti mettere a punto una strategia di re-engagement per riattivare tali contatti.

Conoscere i KPI dell’email marketing è essenziale per valutare le performance delle campagne e della strategia overall, così da apportare eventuali modifiche o miglioramenti.

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Cosa significa produrre contenuti di qualità?

Cosa vuol dire produrre dei contenuti di qualità? Quali sono gli elementi che rendono un articolo di valore e perché dedicarsi a questa attività?

I lettori così come i motori di ricerca sono diventati con il tempo sempre più esigenti per quanto riguarda la qualità dei contenuti. Per una strategia di Content Marketing produrre contenuti di qualità è fondamentale per riuscire a ottenere delle buone performance, sia nell’ottica di stimolare l’interesse degli utenti che di posizionarsi fra i primi risultati sui motori di ricerca. 

Ma che cosa significa produrre dei contenuti di qualità? E perché è importante concentrarsi sulla creazione di contenuti editoriali di valore?

 

Contenuti di qualità, cosa sono?

Mentre per gli esseri umani valutare se un contenuto è di qualità o meno significa esprimere un giudizio puramente soggettivo e basato su canoni personali, per i motori di ricerca questi concetti non valgono. 

Agli occhi del Google di turno, infatti, i contenuti possono definirsi di qualità solo se rispettano precisi canoni. Il primo riguarda la coerenza con il topic dell’articolo e l’utilizzo in questo senso di keyword informazionali che sappiano esaurire l’argomento principale.

Ma oltre alla conoscenza delle regole base della SEO Copywriting, per produrre un contenuto che possa definirsi di qualità, bisogna prendere in considerazione anche altri elementi, come:

  • la capacità di comunicare correttamente il contenuto editoriale;
  • il saper creare delle suggestioni e delle emozioni nel lettore e fornirgli informazioni corrette e approfondite;
  • il garantire una User Experience funzionale e positiva;
  • la creazione di un’architettura del contenuto che sia efficace e pensata per il canale utilizzato.

Il motore di ricerca valuta anche la lunghezza e l’esaustività del contenuto: per Google un contenuto lungo è un contenuto di qualità. Anche se negli ultimi anni, con l’arrivo di una lettura sempre più da smartphone e dispositivi mobili, è l’immediatezza a farla da padrona. In questo senso, a livello di strategia editoriale, può aver senso dare spazio sia a contenuti più di approfondimento che ad articoli brevi, concisi ma puntuali.

L’impatto visivo è un altro elemento di qualità per un contenuto: immagini, infografiche, video sono tutti elementi che arricchiscono il contenuto, rendendolo capace di attirare meglio l’attenzione dell’utente e del motore di ricerca. La qualità è anche dettata dall’autorevolezza, dell’affidabilità, dalla precisione e dalla professionalità tanto del sito che ospita il contenuto quanto dell’autore dello stesso.

La leggibilità è un aspetto da non sottovalutare per capire come produrre un contenuto di qualità: mettere in evidenza le parti di testo che possono rispondere immediatamente a un’esigenza degli utenti e sottolineare le parole chiave che il motore di ricerca deve considerare come più rilevanti è di fondamentale importanza per creare un articolo di valore. In quanto tale il contenuto di qualità è capace di portare un valore aggiunto agli utenti che lo leggono e ai motori di ricerca, che possono valutarlo positivamente, facendogli scalare le posizioni della SERP, se risponde alle esigenze dei lettori e rispetta le regole della SEO Copywriting.

Perché produrre contenuti di qualità?

Produrre contenuti di qualità ha senso ed è importante per differenti ragioni:

  • Questi contenuti possono portare traffico qualificato e in target verso il tuo sito web.
  • L’algoritmo di Google premia quei contenuti che reputa di qualità, mentre penalizza quelli di bassa qualità.
  • Più il contenuto è di qualità e più sarà condiviso sui canali social, elemento questo che viene valutato dai motori di ricerca.
  • Gli utenti mostrano interesse verso contenuti ritenuti utili e capaci di rispondere ai loro intenti di ricerca, favorendo l’ottenimento di backlink di qualità.

Insomma, produrre contenuti di qualità deve essere un’attività centrale e di primaria importanza per qualsiasi tipo di strategia editoriale!

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Le 4 tendenze del MarTech per il futuro

Quali saranno le prossime novità nel settore del MarTech previste per il futuro? Ecco le aspettative e le predizioni di Jep Castelstein.

Quando il Marketing incontra la Technology ecco che dà vita al MarTech, la crasi appunto dei nomi di queste due discipline.

Nella pratica il MarTech si caratterizza per essere un insieme di software che vengono usati per gestire e compiere un’analisi di dati (CRM, Customer Relationship Management e Data Analytics), per produrre e archiviare contenuti multimediali (CMS) e per automatizzare le attività (Marketing Automation). Grazie al MarTech si ha la possibilità di offrire ai clienti una Customer Experience personalizzata e omnicanale, capace di fare la differenza sul mercato.

 

Come sarà il futuro del MarTech? Ecco le previsioni e le aspettative di Jep Castelstein, uno dei principali esperti del mondo del MarTech.

1. Niente più CRM al centro

Molte aziende al giorno d’oggi guardano al CRM come una fonte di verità assoluta. Il CRM viene utilizzato come un sistema di registrazione, al cui interno vengono archiviate e conservate informazioni e dati sul cliente e sui suoi comportamenti d’acquisto. Vari reparti aziendali, come quello delle vendite, si rifanno al CRM per impostare qualsiasi loro attività. In realtà la maggior parte dei dati di utilizzo e di alto valore non risiede all’interno del CRM.

I dati su come i clienti utilizzano i prodotto o i servizi vengono generalmente archiviati in un data warehouse. Proprio qui è infatti più semplice riuscire a combinare dati provenienti da fonti diverse, nonché di conseguenza creare dei segmenti di pubblico dinamici e in real time per implementare più velocemente le campagne.

2. La Marketing Automation del futuro e le piattaforme di posta elettronica non avranno database

In futuro quindi gli stessi dati che oggi sono archiviati su sistemi di data warehouse, MAP e CRM verranno archiviati soltanto sulle data warehouse, di modo da avere una sincronizzazione quotidiana e l’aggiornamento di tali informazioni in tempo reale. Questo perché i principali MAP non solo mancano di sistemi di blocco di dati, ma non hanno nemmeno funzionalità di analisi e gestione di tali informazioni per costruire segmenti complessi.

I sistemi di data warehouse poi, sempre secondo Jep, offrono maggiore sicurezza. La sicurezza è infatti un imperativo per i professionisti del marketing, che devono proteggere il consenso dei clienti sia nei confronti delle aziende che dei malintenzionati. I marketer potrebbero quindi essere più sollevati se i MAP non memorizzassero le informazioni dei clienti, ma utilizzassero i data warehouse come principale database.

3. Parola d’ordine, sincronizzazione dei dati

La sincronizzazione dei dati permette l’esistenza di un flusso fra più sistemi tecnologici. Il reparto marketing si adopera sempre di più per raccogliere dati che provengono da differenti piattaforme, di modo da ottenere una panoramica completa sui clienti e sfruttare le informazioni sia per attività online che offline.

Jep sostiene che vedremo in futuro maggiori investimenti nelle data companies, ma anche nuove iniziative da parte dei leader per portare a bordo figure che sanno gestire e interpretare i dati.

4. Scavare in profondità nei dati

Un quarto trend futuro previsto da Jep Castelstein nel mondo del MarTech riguarda l’utilizzo dei dati. Secondo il parere dell’esperto, infatti, i professionisti del marketing a oggi non stanno effettivamente utilizzando i dati per fare del buon marketing, ma in futuro inizieranno.

I marketer, infatti, utilizzano i dati in superficie, come le visite al sito web, la compilazione di form o i clic sui messaggi di posta elettronica. I dati di più alto valore, in realtà, sono quelli sugli intenti e sull’utilizzo dei prodotti o servizi. Grazie a questi dati, infatti, considerati addirittura migliori di sondaggi per avere informazioni sui clienti, è possibile osservare le azioni dei consumatori, in costa investono il loro tempo e le loro energie.

Insomma, nel prossimo futuro il MarTech subirà nuove ed interessanti evoluzioni, con lo scopo di fornire sempre di più valore e di trovare valore condiviso condiviso sia per il cliente che per il marketing.

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